L`arrivo a Parigi dei jazzisti afroamericani, sul finire degli anni `60, dovette avere un bell`impatto se ancor oggi c`è in Francia chi continua a narrarne le gesta. Gli Healing Unit, al pari dell`Ariosto che rievocò l`epopea di Orlando, ci cantano le loro canzoni di Roscoe, di Don, di Joseph, di Lester, di Richard, di Sonny, di Archie, di Cecil, di Eric, di Andrew e di Malachi. Ci cantano quelle canzoni e ci incantano, perchè a distanza di tanti anni quello che allora era il jazz sperimentale non ha perso una briciola del suo fascino. Il gusto della citazione e la disposizione alla fanfara rimandano soprattutto ad Albert Ayler e all`Art Ensemble Of Chicago (titoli come La Chanson d`Albert e Blues For AEC mi sembrano inequivocabili), ma è un po` tutta la musica afroamericana degli anni `60 e `70 a fare capolino in “Repeat Please!”. Questo soprattutto nella lunga suite, che raccoglie i primi sette titoli, dove l`intelligente ironia dell`Art Ensemble e il selvaggio espressionismo di Ayler si fondono con le raffinate ed eleganti soluzioni di Dolphy e con i flussi migratori di Taylor. Quest`insieme di influenze finisce, com`era nel caso dell`AEoC, con il dotare il quintetto francese di una fisionomia propria. La registrazione, live in studio, raccoglie tutto il feeling della diretta senza presentare gli incomodi dell`incisione in concerto e, se questi erano gli obiettivi legati a questa scelta, mi sembrano pienamente raggiunti. Forse si può rimproverare al quintetto l`atteggiamento passatista ma tutti gli eserciti, oltrechè dei cosiddetti reparti d`avanguardia, hanno estremo bisogno di chi ha il compito di sfamare la truppa ... e gli Healing Unit assolvono al compito con un entusiasmo, un rigore e una competenza straordinari.
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