christina kubisch    di e. g. (no ©)




Christina Kubisch è una signora che ha già superato la mezz`età eppure, almeno stando alle foto più recenti, sembra ancora un ragazzina. Che la sua musica sia un elisir di giovinezza? Che lo sia o no, è un trattamento che vale comunque la pena di provare. Male che vada avrete fatto vostro un ottimo tonico per le orecchie e per la mente.
Prima di parlarne, della sua musica, sembrano però indispensabili due note biografiche, anche perchè rischiamo altrimenti di scadere in discorsi da salone di bellezza: nata a Bremen, in Germania, ha studiato nelle accademie artistiche (o nei conservatori) di Stoccarda, Amburgo, Graz, Zurigo e Milano (in quest`ultima città con Franco Donatoni come insegnante). Durante questo suo peregrinare ha appreso tutti i linguaggi musicali - e non solo - contemporanei. La sua attività creativa si è divisa principalmente fra Milano (fino al 1987) e Berlino, con brevi spostamenti in altre città che sono avvenuti al seguito della sua attività didattica. Nella sua opera si avvertono, principalmente, le influenze della musica `meccanica` (dai primi carillon ai moderni software), delle teorie cageane, di un `ecologismo` tipicamente `tedesco`, delle filosofie orientali (soprattutto `zen`) e del movimento Fluxus. Tutte cose che non sono poi così distanti l`una dall`altra. Fluxus, in particolare, è ben identificabile in alcuni elementi della sua attività come strumentista e come compositrice: ad esempio nelle foto che la ritraggono mentre suona il flauto bardata con guantoni da pugile o ditali da sarta, in una gestualità che mi ha fatto pensare alla violoncellista Charlotte Moorman, o nell`idea che sta dietro a Identikit, combinazione di 5 pianisti e 1 pianoforte.
La sua attività , innanzi tutto, si è però svolta intorno al concetto di installazione sonora, da questo provengono la maggior parte delle sue registrazioni ed è in tale contesto che ha dato prova di originalità ed ha avuto intuizioni a dir poco rivoluzionarie. Il concetto di una musica portata al di fuori delle sale da concerto, adattata all`ambiente in cui viene usufruita, creata per quell`ambiente, da un`artista che si cala in esso e cerca di recepirne i segnali, di captarne il respiro per trasformarlo in suoni. L`aspirazione ad un pubblico che si fa protagonista, che sceglie il percorso sonoro, che lo varia a sua discrezione. Tutte idee che, oggi, fanno parte del nostro vivere quotidiano, e sarà forse per questo motivo che l`opera dell`artista tedesca è stata riscoperta raggiungendo, lo dimostra la regolarità con cui ha sfornato dischi negli ultimi anni, una popolarità che non aveva mai conosciuto in passato. Questa situazione fa però seguito ad un lungo periodo d`isolamento, quasi sdegnoso, come dettato dalla consapevolezza della propria unicità .
La sua discografia può essere divisa in `completa` e `possibile`, dove la prima è comprensiva di vinili, cassette e CD-R assolutamente introvabili, se non nel mercato del collezionismo, mentre la seconda è costituita dai CD, stampati a cominciare dalla metà degli anni `90 e ancora regolarmente reperibili presso qualsiasi rivenditore che tratta questo tipo di materiale. La recente ristampa di alcune delle vecchie pubblicazioni sta comunque rendendo sempre più esiguo il divario fra discografia `completa` e discografia `possibile`.
La discografia completa, così come la biografia, l`elenco delle installazioni, ecc., potete trovarla nel suo sito (http://www.christinakubisch.de), curato e ben fatto, mentre tutta una serie di altre informazioni, con un ampio corredo fotografico, sono disponibili nei libri “Zwischenräume” (Stadtgalerie Saarbrücken) e “Klang Raum Licht Zeit” (Kehrer Verlag), entrambi indispensabili al pari delle opere più strettamente musicali.
Passiamo adesso ad un`analisi più dettagliata della discografia possibile, saltando di netto sia il materiale non stampato in CD sia i brani sparsi nelle varie compilation, con l`unica eccezione di “Night Flights” (Auf Dem Nil), un LP del 1987, non impossibile da reperire, che si colloca nel punto di passaggio fra il periodo italiano e il ritorno in Germania. Si tratta di una delle sue poche pubblicazioni che contengono composizioni composte espressamente per quella specifica realizzazione discografica, e non adattate ad essa quale surrogato di progetti ben più complessi. E` anche uno dei suoi lavori più belli ed uno dei più coinvolgenti omaggi che siano stati fatti alla notte. Tre soli brani in cui fa tutto da se, esclusi i circoscritti contributi di Walter Maioli, Raffaele Serra, Sabino Ventura e Roberto Laneri, saldando la dodecafonia con situazioni che sfiorano la `fourth world music` tramite il cemento della musica concreta.

La serie delle ristampe, come ho scritto sopra, copre ormai tutto l`arco della sua attività e pochi restano i lavori veramente irreperibili. Fondamentale è stato il recupero dei suoi primi vinili, avvenuto fra il 2001 (“Two And Two”) e il 2002 (“Tempo Liquido”) ed effettuato da parte della chicagoana Ampersand. Si tratta di due concept-album realizzati con la collaborazione di Fabrizio Plessi, pittore e artista visuale ancor più che musicista, all`epoca suo partner fisso - lei stessa, al pari di Plessi, aveva studiato pittura, all`Accademia delle Belle Arti di Stoccarda e sotto la direzione di K.R.H. Sonderborg.
“Two And Two”, uscito originariamente in vinile nel 1976 per la milanese Multipla Records, è la prima pubblicazione in assoluto della Kubisch. Si tratta del suo lavoro più importante, pietra d`angolo per tutta l`attività a venire. Il disco rappresenta un omaggio all`estetica degli anni Settanta e, contemporaneamente, un suo superamento. Le quattro composizioni sono dedicate ai quattro elementi naturali (terra, fuoco, aria e acqua), un principio fondamentale nella tradizione culturale europea - dalla filosofia greca al mondo esoterico dei Celti (le quattro punte della croce celtica rappresentano appunto i quattro elementi) - così come nella tradizione fiabesca e stregonica. I quattro elementi ebbero un`adeguata rappresentazione musicale nel corso degli anni Settanta e sembra giusto ricordare almeno i due casi più notori: il secondo disco della Third Ear Band e la canzone In The Wake Of Poseidon dei King Crimson. Ma “Two And Two” presenta delle differenze sostanziali, mentre nel primo caso citato era il flusso musicale a voler rappresentare gli elementi e nel secondo la loro menzione faceva parte della narrazione testuale, qui il tentativo è quello di rivelare la loro presenza nel contesto stesso degli strumenti e degli oggetti utilizzati. E` veramente un modo nuovo di vedere la musica, con gli utensili che vanno a rappresentare solo se stessi, nient`altro che la loro essenza, quello che sono. Un fisarmonica è semplicemente una fisarmonica, nè paradiso e nè inferno, solo un oggetto che emette un suono se sottoposto a un processo di incameramento - espulsione d`aria. Il suono di una fisarmonica è `aria`. Nessun inganno. Nessuna illusione. Anche la performance associata alla composizione (definita dagli autori come video-concert-performance) conteneva elementi di novità , con i musicisti al centro e il pubblico libero di muoversi loro intorno, che la rendevano già installazione sonora. Si tratta di una rappresentazione che, per quanto grezza, contiene già i germi dei moderni concetti di multimedialità . “Two And Two” è un`opera davvero magistrale seppure, come quasi tutti i lavori della Kubisch, soffra l`handicap della trasferta in un supporto esclusivamente sonoro. Stando a quanto riportato nel sito http://www.artsystem.it/plessi furono fatti anche dei tentativi di pubblicazione video, ma anche questo tipo di supporto non era certo in grado di rendere giustizia alla complessità di una performance così complessa e articolata (l`esecuzione della composizione, oltre ai due performers, prevedeva la presenza di due operatori video, una parete di monitor e un numero imprecisato di `strani` oggetti e strumenti).
Il secondo disco della coppia Kubisch / Plessi venne pubblicato tre anni dopo dalla Cramps, nell`arcinota serie `diverso`, ed è stato anch`esso ristampato in CD dalla Ampersand. Si tratta di due brani speculari nei quali viene affrontato un altro tema caro all`autrice, quello del tempo, attraverso un processo di crescita e annullamento che rappresenta un intero ciclo vitale. La struttura speculare va intesa nel senso che il primo brano termina dove inizia il secondo e viceversa, ovvero il secondo ripercorre all`inverso il cammino del primo. La crescita-riduzione avviene sia per sommatoria-sottrazione progressiva di alcuni elementi sia per aumento-diminuzione di massa volumetrica, seguendo uno schema del tipo `a-ab-aB-AB - BA-Ba-ba-a`. La `liquidità `, la ripetitività e la struttura essenzialmente ritmica rimandano ad alcune opere del minimalismo, penso a Reich, ma anche al quarto fra gli elementi, l`acqua, esso stesso interprete di un percorso ciclico.
“On Air”, pubblicato nel 1984 su musicassetta dalla Melania Productions e adesso riproposto in doppia versione (CD / LP multiplo) dalla Die Schachtel, è il primo lavoro, fra quelli reperibili, in cui è possibile ascoltare l`artista tedesca senza la collaborazione di Plessi. Quello proposto, diversamente dai dischi trattati in precedenza, è un itinerario sonoro creato espressivamente per un`installazione pura, vale a dire la sonorizzazione del Castello di Gargonza (Arezzo) che venne messa a punto attraverso dodici diversi percorsi sonori. Quindi, a differenza di “Two And Two” e “Tempo Liquido” che pure avevano già carattere di installazione, in questo caso la rappresentazione non prevede la presenza del performer. Rispetto all`intreccio creatosi fra i 3000 metri di cavo elettrico, che segnavano i dodici percorsi, i 24 programmi, i 12 registratori, i 12 amplificatori e le cuffie magnetiche, di cui venivano dotati i visitatori, potete ampiamente leggere nell`accurata traccia interattiva contenuta nel CD. Mi soffermo ancora un attimo su di essa per segnalarne l`accuratezza e la qualità , con informazioni biografiche e discografiche, una volta tanto anche in lingua italiana, e con un prezioso filmato d`epoca sull`installazione stessa, fatto da una TV locale, comprendente anche immagini relative alla sua preparazione. Il titolo, per scelta casuale o consapevole che sia, rimanda di nuovo a uno dei quattro elementi, cioè all`aria, vista magari semplicemente come conduttore in grado di veicolare le onde sonore. Direi che questo, in fondo, è l`obiettivo dell`installazione, non tanto creare una musica per quell`ambiente specifico quanto una musica che si amalgami con esso, che faccia corpo unico interagendo con la sua essenza, con la sua storia, con gli stessi visitatori-protagonisti, i quali possono a loro volta cambiare l`intensità e la mescolanza dei suoni, variando la distanza dai cavi trasmettitori, i movimenti del proprio corpo o l`itinerario da seguire. Questo, oltre ad essere il suo disco più polimorfo, è anche quello dai caratteri più popolari, con le suggestioni medievali del flauto, i richiami etnici delle percussioni, quelli ambient di certi passaggi più placidamente evocativi, e i suoni concreti ed elettronici che, in Speak & Spell, sembrano addirittura voler citare i Kraftwerk. Popolare finanche nel maleficio industriale sprigionato dai rumori di Travel e in quello spiritistico raffigurato nell`incredibile `linguaggio` che rende inquieti i nove minuti di Listen Through The Walls. La parte musicale, ad eccezione della voce di Giuliano Zosi, è interamente curata dalla Kubisch (voce, flauto, synth e nastri).

Gli anni 1986-1987 rappresentano un punto di svolta per l`inquieta musicista, non solo a causa del suo ritorno in Germania ma anche perchè in quegli anni inizia a lavorare con i raggi ultravioletti. E` la volta del fuoco. Per la prima installazione in cui viene utilizzata l`energia solare bisogna però attendere il 1991. Da quel momento questo aspetto del suo lavoro diventerà un punto d`orgoglio e di principio, tanto che nei dischi pubblicati in seguito vorrà sempre precisare che è stata utilizzata `soltanto` energia solare (qualche riga indietro ho utilizzato l`espressione `ecologismo tedesco`, riferendomi con ciò alla `pignoleria` della Kubisch e al fatto che la Germania è il paese dov`è più sviluppata una coscienza di quel tipo).
“Sechs Spiegel” (Edition RZ - 1994) è, in pratica, la sua prima pubblicazione in CD e, in assoluto, la sua prima realizzazione su supporto in cui viene utilizzata la luce. L`unico brano del disco è stato estrapolato da un`installazione in un luogo di culto protestante, la chiesa Ludwigskirche di Saarbrücken (una città dell`ovest dove l`artista stava svolgendo attività didattica). Un gioco di sei specchi, spalmati con un pigmento sensibile alla luce e posti nei piedistalli del pulpito che contiene l`organo della chiesa, rappresenta la struttura base dell`installazione. La variazione di luminosità delle superfici che si riflettono in ogni singolo specchio porta ad un mutamento del flusso sonoro captato attraverso un sistema di micro-microfonia, per un risultato simile a quello ottenuto dal giapponese Toshiya Tsunoda registrando l`aria che vibra all`interno di una cavità (“Extract From Field Recording schive #2” su Häpna).
Nel 1998, sempre su Edition RZ, esce “Dreaming Of A Major Third”, brano derivante da un`installazione focalizzata intorno all`orologio che domina il museo d`arte contemporanea del Massachusetts, a North Adams, all`epoca inattivo da ben dodici anni. 44 pannelli solari che, attraverso la finestra della torre, trasmettono la luce, diversa a seconda di come è posizionato il sole, ad un sensore, il quale invia a sua volta informazioni ad un computer. Un software, disegnato appositamente per questo progetto da Manfred Fox, trasforma infine i segnali in composizioni musicali che assemblano suoni di campane pre-registrati. Tali suoni sono stati prodotti dalle due campane dell`orologio, fuse a Boston nel 1883, che l`artista e il suo assistente hanno percosso con mani, martelli e altri arnesi, e le note di copertina tendono a precisare che non c`è stata nessuna manipolazione elettronica. Così, detto in poche parole, chè l`installazione è in realtà molto più complessa e va a coinvolgere il ciclo solare con la differenza di luminosità che contraddistingue giorno, sera e notte. Un altro aspetto, che ritroveremo in seguito, riguarda qualcosa che possiamo definire come `archeologia industriale`: l`orologio in questione ha infatti scandito per un secolo i ritmi di importanti complessi industriali quali quello tessile `Arnold Print Works” e, in un secondo tempo, quello di materiali elettrici `Sprague Electric Company`. Infine va posto l`accento su un altro tipo di ricerca, inaugurata con questo disco, che coinvolge la Kubisch in questi anni e che riguarda i molteplice aspetti, e le molteplici meccaniche, collegabili con il suono delle campane. Come vedrete ne riparleremo a breve.
“Vier Stücke [Four Pieces]”, ultimo disco della trilogia RZ, esce nel 2000 in versione di semplice CD o come allegato all`ottimo libro “KlangRaumLichtZeit” e, con esso, la Kubisch torna a posare i piedi per `terra`. Questo, dopo “Night Flight”, è infatti il primo disco interamente dedicato a composizioni slegate dall`idea di installazione: tre nuove creazioni più Vocrolls II del 1988, un importante recupero poichè si tratta del suo primo brano assemblato utilizzando il computer (le elementari fonti sonore sono limitate a sfere di vetro che rotolano all`interno di coppe di metallo e il tutto viene, infine, manipolato attraverso l`uso di un vocoder). Una composizione singolare, e in linea con quanto abbiamo appena detto, è Altgeräuscharchiv in cui vengono utilizzati numerosi tipi di campane e campanelli (da porta, da bicicletta, da orologio, da chiesa, da carillon, da mucca, ecc...). Mausware è pervasa, invece, da humour macabro in quanto deriva i suoi suoni da un collegamento fra dodici tipi di topo conservati sotto spirito, e utilizzati per effettuare esperimenti scientifici, e dodici tipi di mouse da computer. La chiusura è affidata a uno splendido Nostalgico per fisarmonica e nastro magnetico che, a differenza degli altri brani, non è stato realizzato in uno studio elettronico ma raccoglie una registrazione dal vivo. Se decidete di prendere un solo disco della Kubisch, decisione quanto mai inopportuna, ancor prima di “Two In Two” prendete questo.

Chiuso un ciclo vitale ne inizia un altro che ha già prodotto ben due capitoli. “Diapason” (Semishigure, 2002) ripropone la documentazione di un`installazione e il rapporto suono-luce. I suoni sono prodotti da 15 differenti diapason, utilizzati originariamente a scopo medico, e vengono trasmessi tramite tre campi di altoparlanti pigmentati di bianco, posti nell`oscurità , che ricevono luce dall`antica volta luminosa della vecchia chiesa berlinese in cui ha avuto luogo l`installazione (questo, almeno, è ciò che ho capito basandomi sulle poche note che `illuminano` la confezione del CD). Quindi si tratterebbe di un modo ancora diverso di utilizzare la luce: se in “Sechs Spiegel” l`energia luminosa agiva sulla fonte sonora e in “Dreaming Of A Major Third” sul processo compositivo, in questo caso comporta delle variazioni nel meccanismo di diffusione del suono. Si tratta di variazioni microscopiche, appena avvertibili in quella che appare come la sua opera più votata al silenzio (cageana e/o di indole zen)... a mio parere si tratta di una delle sue realizzazioni più poetiche e più belle.
La conferma che questo periodo `propriamente` berlinese è più meditabondo giunge dal recentissimo “Twelve Signals” (ancora su Semishigure), un disco che in realtà raccoglie una registrazione precedente a quella di “Diapason”. Questa installazione, organizzata anch`essa in una chiesa berlinese (St. Matthäus), era stata creata per la fine-inizio millennio, e la registrazione risale al Gennaio 2000. La parte sonora deriva dai campanelli elettrici utilizzati alla fine del 19° Secolo presso le miniere di St. Ingbert (nell`hinterland di Saarbrücken) e lo stimolo che li attiva riprende il modello numerico che regolava il movimento degli ascensori sotterranei. Veramente emozionante è il momento in cui i campanelli e la campana della chiesa intersecano i loro suoni. Questa situazione mi ha fatto pensare al bellissimo “Did They? Did I” di Valerio Tricoli, con i rapporti fra presente e memoria che sono però invertiti. Nel disco della Kubisch la voce della memoria è infatti nitida, in primo piano, mentre la voce del presente giunge, ovattata, dal sottofondo. Come in un sogno. Come nella foto che la ritrae insieme a John Cage, accovacciata, intenta a procacciarsi chissà cosa... forse, ci piace pensarlo, gli ingredi necessari a preparare quell'elisir di cui dicevamo all'inizio. E che stregone per maestro!?!



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