Patrizia Oliva ha alle spalle una storia incredibile, a partire da quando imbastì le fondamentali Allun in compagnia di altre tre suffragette della trasgressione in ambito sonoro. Dopo un lungo viaggio costellato da variopinti progetti e collaborazioni, approda ora a questo lido fatto di canzoni su testi propri (ad eccezione di Mezza Stanza, che proprio canzone non è, e di Cosa sono le nuvole, che utilizza un testo di Pasolini a suo tempo già cantato da Modugno). In realtà la saldatura con la produzione precedente è molto più avvinta di quanto le mie parole possano far credere, in quanto i testi guarniscono dei sottofondi surrealisti che, comunque, si allineano con le sue realizzazioni passate. E` come se il Robert Wyatt di “End Of An Ear” andasse a fondersi con quello successivo agli anni Ottanta. La voce, in verve molto confidenziale, fa invece pensare soprattutto a Jeanne Lee e, nella canzone cantata in italiano, a Mina. Non voglio con ciò farvi credere che “Celante” è un capolavoro assoluto e un disco epocale, lascio ad altri queste iperboli, ma sicuramente si tratta di un bel disco, realizzato da un`artista onesta, che si lascia ascoltare con estremo interesse e riserva diverse sorprese. Ben più di tanti dischi osannati da cani e porci, presentati come capolavori e che invece, a un ascolto neanche troppo attento, sono semplicemente ridicoli (ad esempio “Ghosteen” di Nick Cave, nelle cui valutazioni di fine anno si stende un`inquietante ombra di payolismo). In cinque degli otto titoli la Oliva è affiancata dal synth di Tommaso Marletta (che si occupa anche degli arrangiamenti e di altri aspetti tecnici). Se siete delusi dalle schifezze del nuovo mainstream questo è il disco che fa per voi. Approfittatene.
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