Vincenzo Ramaglia (intervista)    
di Andrea Ferraris





Come si deduce dal suo profilo, Vincenzo Ramaglia si è formato in un ambito classico com`è normale che sia per chi si è diplomato in composizione al conservatorio, si è laureato in Lettere con una tesi sul teatro musicale da camera del Novecento. Mettendo assieme pochi pezzi di questo puzzle sarebbe fin troppo semplice pensare che i suoi lavori seguano un percorso tradizionale e che come tali siano a loro modo fedeli alla tradizione anche sotto il profilo estetico, ma come dicevamo sarebbe troppo facile per non dire sbagliato. Se “Formaldeide” a tratti si avvicina a dei lavori cameristici, a certe colonne sonore e per sua natura si trova legato a doppio filo ad uno sviluppo lineare di un percorso musicale come quello di Ramaglia, “Chimera” offre lo spunto per pensare che la personalità compositore romano sia ben più complessa e che gli ascolti e le diverse influenze che menziona nel suo profilo l`abbiano effettivamente segnato a fondo, così ci si ritrova in un contesto contemporaneo che prende spunto dal minimalismo e dall`idea di serialismo per andare altrove. Come potrete constatare nell`intervista, pur non volendo lasciare nulla al caso, Ramaglia piegandosi completamente alle esigenze del lavoro ha introdotto degli interventi in cui ha ridotto le indicazioni relative all`esecuzione al minimo indispensabile. Allo stesso tempo scrivendo musica con una forte resa evocativa, i lavori del romano riescono a risultare melodici o comunque fruibili senza per questo volerlo essere a tutti i costi. Sul fatto che certi generi in Italia vivano una marginalità a confronto della quale molta musica “strana” finisca per essere persino conosciuta, credo che non ci sia neppure da discutere e meriti una profonda riflessione, ma credo che l`intervista illustrerà tutto ciò molto meglio di quanto non lo possa fare io.


Partiamo dalla fine...nel tuo ultimo lavoro, oltre a non suonare, utilizzi un musicista con un curriculum accademico come Massimo Ceccarelli e due musicisti che, nonostante le innumerevoli collaborazioni, appartengono ad un circuito più (volutamente) “off”...il diavolo e l`acqua santa?...insomma com`è andata?
E` andata così.Renato_Ciunfrini,_Massimo_Ceccarelli_e_Stefano_Giust_a_Roma,_nel_live_di_Chimera_al_Cantiere Su MySpace ho cominciato a conoscere e approfondire artisti della "libera improvvisazione" (tra cui, appunto, Renato Ciunfrini e Stefano Giust, che poi ho avuto il piacere di ascoltare dal vivo): ciò che mi colpiva maggiormente era l'approccio estremo ed esplorativo allo strumento acustico. Mi colpiva anche per la sua singolare coincidenza - seppur in ambito estemporaneo - con la riflessione sperimentale sul suono che portavo avanti nelle mie ultime partiture (riflessione sperimentale di cui Massimo Ceccarelli, in "Chimera", si è fatto straordinario interprete). Improvvisazione e scrittura mi sono apparse subito come due facce di una medesima indagine: tutt'altro dunque che il diavolo e l'acqua santa. Massimo stesso, durante recenti live di “Chimera”, ha trovato un perfetto amalgama tra precisione esecutiva e interazione estemporanea con gli improvvisatori. Questo non significa che questi due mondi, nella mia idea, dovessero smarrire la propria fisionomia, i propri tratti distintivi: dovevano, anzi, sentirsi liberi di esprimere la propria natura più autentica, senza essere inghiottiti in un tutto confuso, disordinato, penalizzante (sono sempre felice quando, piuttosto, l'autonomia dei linguaggi di cui si stratifica un mio progetto lambisce preziosi effetti di straniamento). Ma c'è dell'altro dietro la scelta di sperimentare l'alchimia tra questi due universi. Sicuramente sentivo in entrambi mancare qualcosa. Nella pagina scritta - da compositore di formazione accademica, senza alcuna esperienza improvvisativa - sentivo mancare il soffio vitale dell'imprevisto, quel coefficiente aleatorio dell'estemporaneità che ti regala continue sorprese e che produce un piacere del tutto peculiare, sia in chi suona che in chi ascolta. Nella libera improvvisazione sentivo mancare una struttura, una costruzione, un progetto... sentivo mancare delle "regole", ma non quelle ottuse e ingessanti dell'accademia (di quelle non sento affatto la mancanza: da tempo ho la presunzione di essermene affrancato), ma quelle che è un piacere costruirsi, magari per gioco, per il gusto vuoi intellettuale vuoi istintivo di seguirle o infrangerle. E` così che nasce "Chimera".

Per molti la libera improvvisazione non è così carente di struttura, anzi, direi che molta improvvisazione finisca per essere tutto fuorchè “libera”. Anche Ciunfrini e Giust in un certo senso provengono da un`improvvisazione più “colta”...è un caso che tu ti sia rivolto a loro? Non parlo tanto del fattore intellettuale ma dell`estetica, in fin dei conti nell`improvvisare spesso emerge il background di un musicista e quindi anche loro hanno un`estetica ben diversa da un musicista che viene magari dal punk o dall`elettronica...
Hai ragione: l'improvvisazione può spesso essere puntualmente strutturata, e il caleidoscopico background di Renato e Stefano sfiora e attraversa zone della sperimentazione contemporanea non sempre riconducibili a una libertà improvvisativa a 360 gradi. E` naturale che quel background emerga - felicemente! - dal loro gesto improvvisativo. Ed è certamente uno dei motivi per cui mi sono rivolto a loro. Ma ho conosciuto Renato e Stefano attraverso performance basate su improvvisazioni autenticamente libere (per nulla mediate, cioè, da decisioni prese preliminarmente a tavolino). E avevo la netta sensazione che quella libertà - filtrata dalla loro sensibilità e dalla loro cultura - costituisse un veicolo perfetto per esprimere sia il loro poliedrico vissuto musicale, sia il loro puro afflato. Era inevitabile che mi conquistasse, forse - chissà - proprio perchè sono (un compositore) abituato a tenere tutto sotto controllo, a non concedere nulla al caso, a preordinare ogni cosa nei minimi dettagli. La_loop_sation_RC-50,_utilizzata_in_ChimeraParadossalmente, ciò che più mi seduceva in quella libertà era proprio ciò che mi destabilizzava. Quindi, mentre li ascoltavo, se da una parte la mia immaginazione di compositore avvertiva l'esigenza di inserire (o sovrapporre) qualcosa, dall'altra era stimolata proprio dall'idea stessa di libertà . Ho subito realizzato che la sfida non era mettere mille paletti o fornire mille indicazioni agli improvvisatori, ne' portare un esecutore di formazione accademica a improvvisare. Tutt'altro, la partitura per contrabbasso e loop station - eseguita scrupolosamente da Massimo nella sua ciclicità modulare, con i loop rigorosamente annotati - doveva (dialetticamente, magari) favorire, stimolare la libertà dei due improvvisatori, piuttosto che ostacolarla. Una partitura rigorosa come "locus amoenus" della libertà estemporanea: questa era la vera sfida. E così ho deciso che se dovevo tuffarmi nel vuoto, l'avrei fatto senza paracadute. Alla fine, l'unico vero mio intervento sulla parte improvvisativa (oltre alla scelta degli improvvisatori, che considero cruciale!) è stato suggerire, un po' per gioco, un paio di parole-guida prima di ogni improvvisazione (ad esempio: 'blues cubista', 'soft tribale', 'noir frivolo', 'apocalittico catartico'). Il bello è che questo scherzo ha avuto delle palesi e inaspettate ripercussioni sonore.

Dai tuoi due cd direi che emerge un forte gusto per la melodia (intesa neppure troppo in senso lato) e per le colonne sonore, il che può fornire un indizio. Se non sbaglio dirigi anche una scuola di cinema, immagino che le cose siano connesse.
Spesso si pensa che "sperimentale" significhi necessariamente "non-melodico". Io non sono affatto d'accordo, sono contrario alla sperimentazione intesa come "rifiuto" di qualcosa: la sperimentazione non consiste nel "non usare" qualcosa, ma in "come si usa". Dunque critico sia un uso non sperimentale (anzi più o meno latentemente pop) della melodia da parte di alcuni sedicenti compositori di "classica contemporanea", sia il dogmatico rifiuto di qualsiasi elemento melodico da parte di un post(/vetero)-webernismo accademico, polveroso, stantio. Ecco perché, nei miei due cd ("Formaldeide" e "Chimera"), faccio uso, più che della melodia, del suo relitto, di brandelli melodici talvolta decontestualizzati, altre volte sospesi nel vuoto, astratti, altre ancora ripetuti modularmente, come in un disco incantato, volutamente deprivati di uno sviluppo... Oltre a essere direttore dell'Accademia di Cinema e Televisione Griffith, a Roma, scrivo musica da film, insegno linguaggio audiovisivo (sia nella mia scuola che in stage, corsi universitari, conservatori, ecc.) e sono da sempre un avido studioso del rapporto tra suono (inteso a 360 gradi) e immagine nelle sequenze cinematografiche: "Il suono e l'immagine. Musica, voce, rumore e silenzio nel film" è infatti il titolo di un libro che ho pubblicato - per Dino Audino - sul tema. Dunque è inevitabile che le suggestioni di questi due ambiti - quello musicale e quello cinematografico - si nutrano a vicenda, nella mia vita. Tuttavia mi fa piacere tu abbia parlato di "colonne sonore" piuttosto che di "musica da film". In effetti ritengo che la musica da film sia un territorio in buona parte ancora inesplorato, ma generalmente alternativo (in quanto spesso "condizionato") rispetto alla sperimentazione musicale contemporanea "non applicata". Forse per questo penso di ricevere molte più suggestioni dal suono cinematografico che dalla musica da film. Per come trattano il suono e il silenzio, registi come Tarkovskij, Bergman, Herzog, Wenders possono a mio avviso essere considerati veri e propri compositori di musica contemporanea, da cui attingere preziosi elementi di ispirazione.

...beh, non per nulla il processo di montaggio/editing di un film, di un lavoro teatrale e di una registrazione molto spesso finiscono per assomigliarsi...a proposito di editing e montaggio, ho visto che nell`ultimo disco hai anche usato dei campionamenti, che mi dici in proposito? Immagino non ti debba dire che per molti musicisti di ambito classico o colto il campionamento non è che un`appropriazione indebita...
In "Chimera", l'unico campionamento - inteso come registrazione/riproduzione assolutamente fedele di una frase acustica - è quello "in tempo reale" offerto dalla loop station (in questo caso la rc-50), che consente a un esecutore (in questo caso il contrabbassista) di moltiplicare e sovrapporre in un live frasi appena eseguite sul proprio strumento. Si tratta dunque dell'ordigno elettronico meno invasivo, perchè non manipola, non deforma, non distorce: semplicemente riproduce le frasi così come vengono eseguite, trasformando la monodia in polifonia, un solo esecutore in una piccola orchestra, salvaguardando inoltre l'estemporaneità live. La sensazione - un po` "psichedelica" - che si riceve dall'ascolto di "Chimera", paradossalmente, non deriva dall'uso della loop station, ma dall'anticonvenzionale arditezza delle tecniche utilizzate sui singoli strumenti acustici. Ho costellato la partitura per contrabbasso, ad esempio, con stilemi mutuati dalle partiture di Scodanibbio, il più straordinario esploratore di questo idioma, e ampliati in un confronto tra me e Massimo sullo strumento (tremoli, trilli, bicordi, glissandi di armonici, movimenti circolari dell'arco, corde libere, remoti bordoni, posizioni anticonvenzionali di arco e mani, percussione delle corde con bacchetta gommata, sibili e rombi sfiorando la cordiera con l'arco, ecc.). La risposta dei due improvvisatori non poteva essere da meno. Mi limito a citare l'approccio materico e ancestrale di Renato ai suoi sax (multifonici, utilizzo di voce + suono, campana su pelle di tamburo, strumenti senza bocchino o addirittura bocchini senza strumento, più strumenti contemporaneamente, oggetti vari nella campana, superacuti poggiando la campana sul polpaccio, ecc.). E` per questo che definisco il risultato una "psichedelia acustica": la sensazione è psichedelica, ma il modo di produrla rigorosamente acustico... Mi rendo conto a posteriori di quanto questa operazione sia contro corrente. Infatti l'ambito "classico/colto" - a cui fai riferimento - spesso ama l'elettronica (sin troppo!), mentre altrettanto spesso ha dei problemi proprio col concetto di loop. Per onestà , tuttavia, ammetto di condividere anch'io in parte queste perplessità nei confronti della modularità imposta dalla loop station, modularità che compiace i minimalisti (categoria a cui non sento di appartenere), ma che io vivo più come un limite di questa macchina che come un valore aggiunto. La sfida era, appunto, contrappormi a questo limite sia nella fisionomia dei singoli loop (spesso rarefatti e ritmicamente ambigui, sfuggenti, diversi da quelli generalmente utilizzati dai looper), sia nella scelta di improvvisatori davvero agli antipodi del concetto di loop (e stavolta cito l'irresistibile stile batteristico di Stefano, così ritmicamente fluttuante, instabile, cangiante).

Hai autoprodotto entrambi i cd, eppure ascoltandoli, il secondo mi sembra parecchio appetibile, nonostante la crisi del mercato discografico, delle vendite e di tutto ciò che ne consegue. Per altro è strano vedere un compositore che autoproduce dei dischi in cui non suona neppure, solitamente è una cosa che riguarda più “gli allenatori-giocatori”. Perchè autoprodurre “musica contemporanea” nel 2008?
Se il mercato discografico è in crisi, quale mai può essere la situazione delle case discografiche che si occupano eroicamente di quell'ambito reietto che è la musica contemporanea? Devo ammettere che - un po` con questa consapevolezza, un po` per il fascino da sempre esercitato su di me dalla parola "indipendente" - non mi sono mai dato molto da fare per trovare una casa discografica che fosse interessata al mio lavoro e che mi rappresentasse. Valerio Loraschi, compositore che ho conosciuto su MySpace, incuriosito dal mio ultimo viaggio estivo (da Helsinki a Capo Nord), dopo aver ascoltato "Chimera" ha scritto sul suo blog qualche parola su di me e sul mio desiderio continuo di esplorare nuovi territori (sia in senso geografico che sonoro): "per fare un viaggio del genere, il compositore deve essere totalmente indipendente, libero, non solamente nell`atto creativo, ma anche nella realizzazione concreta del progetto, dalla registrazione fino alla produzione e distribuzione del cd". Mi identifico appieno in queste parole. Il piacere e il vantaggio di autoprodurmi consistono nel curare personalmente nei minimi dettagli i miei cd, dalla qualità di registrazione/editing/mixing, al booklet ai limiti del "programmatico" in cui cerco di introdurre e sviscerare al meglio il senso del mio lavoro (inserendo anche pagine di partitura e molte informazioni sui musicisti coinvolti), con un'attenzione quasi morbosa al concept grafico (che mi ha portato a rivolgermi alla fotografa norvegese Hege Susann Hansen, per "Formaldeide", e al fotografo romano Francesco Viscuso, per "Chimera"). Anacronisticamente, in un'epoca sempre più digitalizzata, percepisco il cd fisico come un prezioso feticcio. Quanto alla mia assenza di esecutore dalle mie autoproduzioni, con "Chimera" ho cominciato ad avvertire l'esigenza di minare alla base il ruolo del compositore (accogliendo elementi "incontrollabili" nelle mie musiche), ma non per demolirlo, bensì per riaffermarlo nella sua problematicità (che - almeno da Cage in poi - mi sembra la chiave più interessante per ridefinire il compositore contemporaneo). In questo senso, può sembrare paradossale, ma è proprio la mia assenza di esecutore a sancire la mia presenza di compositore. Perchè "autoprodurre musica contemporanea nel 2008"? Perché, per quanto sia un'impresa improbabile e al di fuori di qualsiasi ottica di mercato, forse la sua forza risiede proprio nella sua spregiudicatezza (mi viene sempre in mente la casa editrice Adelphi, che non avrebbe mai raggiunto il suo meritato successo senza le scelte radicali e coraggiose di Calasso, avulse da considerazioni di ordine commerciale). Inoltre credo fermamente che - svecchiandosi, liberandosi da chiusure accademiche, elitarie, solipsistiche, settarie - la musica contemporanea possa risorgere e raggiungere porzioni inaspettate di pubblico, possa dimostrare il puro piacere dell'indagine sperimentale. Riferito a "Chimera", hai utilizzato il termine "appetibile": ti ringrazio, perchè - seppur alla larga da facili ruffianerie - forse l'obiettivo della mia ricerca è proprio una "sperimentazione appetibile"...

“Formaldeide” è molto differente da questo nuovo lavoro e in un certo senso, se parliamo di fruibilità , credo che sia ancora più “ascoltabile” anche da parte di gente completamente estranea alla musica “colta”. Anzi, sembra quasi che, pur lavorando in ambito minimalista, tu sia andato “complicando” il tuo lavoro, per quanto questa affermazione sembri quasi un controsenso. Seguendo questo ragionamento al prossimo disco uno potrebbe aspettarsi un ulteriore giro di vite...
Sinceramente non saprei stabilire quale dei miei due lavori risulti più fruibile da parte di un pubblico non "colto". Ho raccolto feedback contraddittori in merito da chi li ha ascoltati entrambi. Se infatti, da una parte, le atmosfere sonore di "Formaldeide" sono più rarefatte, sospese, suadenti rispetto a quelle - talvolta più stridenti e irrequiete - di "Chimera", dall'altra il mio secondo lavoro può risultare meno "cameristico" e più comunicativo per l'inserimento di loop e improvvisazione, elementi che non sono rappresentativi - almeno nell'immaginario collettivo - della musica cosiddetta "colta". Come ti dicevo, in realtà non ritengo di "lavorare in ambito minimalista". Di minimalista nei miei lavori trovo ci sia soltanto il gusto per la ricorrenza - a volte ipnotica e ossessiva - di cellule sonore, ricorrenza che in "Formaldeide" non è mai perfettamente isocrona e modulare, in "Chimera" lo è soltanto per i limiti tecnici della loop station. E` per questo che trasformo questa "modularità imposta" in una sorta di complessa "base", su cui ospitare liberi e irregolari percorsi improvvisativi. E a quel punto il minimalismo cade, perchè altrimenti dovremmo definire minimaliste tutte le espressioni musicali fondate sul concetto di "base", come ad esempio larga parte del rock, del jazz, del pop. Insomma - pur amando ripetizioni, ostinati, ricorrenze, rintocchi - nei miei lavori tendo sempre a scongiurare i limiti stilistici del minimalismo, e cioè il forte rischio di monotonia derivante dal sacrificio dell'elaborazione strutturale orizzontale in favore di una modularità reiterativa, per quanto via via arricchita verticalmente. E` possibile non essere minimalisti usando una loop-station? Questa è stata una delle sfide (apparentemente impossibili) di "Chimera"... Sono ben lieto di "complicare" progressivamente la mia ricerca sperimentale, se "complicare" non significa allontanarsi snobisticamente dalla fruibilità più immediata, ma piuttosto scommettere (senza mai abbandonare il "principio del piacere") su alchimie sempre più complesse tra universi apparentemente distanti e inconciliabili. In effetti il mio primo cd ("Formaldeide") è una partitura da camera, il secondo ("Chimera") una partitura con loop station e improvvisazioni. Hai ragione, è giocoforza che il mio prossimo progetto spicchi un salto ulteriore. E` un processo irreversibile: indietro sicuramente non si torna...

Poco tempo fa ho intervistato Alessio Pisani del Grim Italia (www.grim-italia.org) e gli ho fatto qualche domanda sulla sua esperienza in conservatorio. Alla fine tu hai fatto il Santa Cecilia, che mi è sempre rimasto impresso per Morricone, ma che ha sfornato un bel po` di altri talenti e compositori romani: che esperienza hai avuto con lo studio accademico e con le sue gerarchie? E` vero che è così frenato/refrattario alle novità come affermano in molti?
E` ben nota la situazione dei conservatori. Finchè qualche illuminato non rivoluzionerà programmi ministeriali e didattiche, studiare composizione in conservatorio potrà soltanto fornire all'allievo degli strumenti per analizzare o imitare gli stili del passato. Con questo non voglio dire che la nostra "memoria musicale", la conoscenza e l'approfondimento (anche "pratico") del nostro passato siano inutili, sterili, superflui. Cosa sarebbe stato De Chirico se non avesse studiato l'arte dell'antica Grecia? Cosa sarebbe stato Stravinskij se non avesse studiato la musica del '700? Ma padroneggiare i diversi stili - per quanto importante, preliminare - non può costituire l'obiettivo formativo principale di un corso di composizione, approfondire tecnicamente la "storia della musica" (studiando trattati come il De Ninno e il Dubois e scrivendo corali, contrappunti, fughe, romanze, ecc.) non fa un compositore, fa semmai un musicologo-insegnante, o meglio getta delle basi - talvolta anche discutibili - nella formazione di un musicista (a prescindere se esso diventi un musicologo, un compositore, un insegnante, un critico musicale). Quello che può invece formare un compositore è l'acquisizione degli strumenti per barcamenarsi nel proprio presente musicale o, almeno, nel proprio passato più prossimo, e non solo dunque l'apprendimento di quelle due o tre nozioni - tramontate da mezzo secolo - di serialità , alea, elettronica di base, con cui i conservatori liquidano il vitale caleidoscopio dei linguaggi novecenteschi e tarpano la creatività dei propri allievi, riducendoli a "cloni". Altri punti a mio avviso preziosissimi, spesso trascurati dai percorsi accademici, sono l'analisi avida e instancabile delle partiture (il modo più empirico per conoscere i segreti dell'orchestra e imparare ad elaborare le proprie idee musicali), l'approfondimento delle nuove tecniche sperimentate sui singoli strumenti musicali nella musica contemporanea (qui in Italia manca persino una manualistica in merito, siamo fermi al datatissimo Casella-Mortari), la scoperta (e lo studio, perchè no?) del mondo fuori dalle mura dei conservatori. Anche un allievo di conservatorio dovrebbe rendersi conto che c'è molta più sperimentazione in una canzone dei Radiohead o dei Portishead piuttosto che in una larga porzione di quella che viene definita (spesso arbitrariamente) "musica contemporanea"! C'è un gap culturale smisurato da colmare. Tuttavia sono contrario al vittimismo.Lavoro_orchestrale_di_Vincenzo_Ramaglia,_eseguito_al_Conservatorio_Santa_Cecilia_di_Roma Un allievo con un minimo di vivacità intellettuale, di curiosità , di stoffa creativa e di apertura mentale realizza ben presto che il conservatorio non può essere nemmeno lontanamente il proprio universo, raccoglie ciò che questa struttura può offrirgli di buono (e qualcosa indubbiamente c'è, nonostante tutto: cito, ad esempio, l'importantissima opportunità di vedere eseguite le proprie prime partiture cameristiche e orchestrali, o anche - quando si è fortunati - di fare tesoro di qualche valido consiglio di un maestro), ma al tempo stesso si pone conflittualmente rispetto a ciò in cui non si rispecchia, pur proseguendo i propri studi si tiene a distanza il più possibile da quella mentalità ("frenata/refrattaria alle novità ", per usare le tue parole), sviluppa parallelamente altre attività , integra la propria formazione e trova stimoli da qualche altra parte, magari ascoltando e analizzando vagonate di musica di tutti i generi per conto proprio, divorando partiture, stringendo contatti con musicisti degli ambiti più disparati (adesso internet, da questo punto di vista, è una miniera di occasioni), coltivando la propria ispirazione musicale nei territori sonori che ritiene più giusti per se', per la propria crescita, per la propria ricerca. Insomma: a queste condizioni - a mio avviso imprescindibili - certo che possono uscire talenti da un conservatorio. L'importante è essere mentalmente liberi: la musica contemporanea sfida il presente, e non è possibile sfidare il presente senza liberarsi dalle maglie dell'accademia.


link:

Vincenzo Ramaglia:
www.myspace.com/vincenzoramaglia

Video di "Chimera" (Cantiere - Roma, 31 ottobre 2008):
it.youtube.com/watch?v=vHhRVOn15dQ (1° movimento)
it.youtube.com/watch?v=8sm_Bqqk_uk (4°movimento)
it.youtube.com/watch?v=LCVZxgIOMOA (5° movimento)
it.youtube.com/watch?v=0WFc2Xw1C5g (6° movimento)

Video di "Formaldeide" (Studio Erewhon - Roma, 28 maggio 2007):
vids.myspace.com/index.cfm?fuseaction=vids.individual&VideoID=11164669

Per acquistare i cd:
www.yourindiecd.net/CATALOGO/?ling=1&campo=artista&testo=Vincenzo%20Ramaglia

Il libro "Il suono e l'immagine":
www.audinoeditore.it/libro.php?collana_id=M&collana_progr=56

La scuola di cinema (Accademia di Cinema e Televisione Griffith):
www.griffithduemila.com/





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