netmage zeronove    
di e. g. (no ©)




Netmage segue a ruota gli anni del nuovo millennio e raggiunge così il ragguardevole traguardo della nona trasmissione, ancor più ragguardevole se pensiamo alla fugacità di tutto quello che ci circonda. Dalle officine del Link a Palazzo Re Enzo, in una scalata inarrestabile durante la quale gli organizzatori sono riusciti nel non facile compito di mantenere la rassegna sui binari tracciati fin dall'inizio senza snaturarne ne svenderne le caratteristiche e i principi fondamentali. Oggi Netmage è una di quelle rassegne di livello superiore (per organizzazione, finanziamenti, locazione, presenza di pubblico...) e pure si continua a scavare ed a presentare proposte inedite ed estremamente interessanti. Cosa chiedere di meglio e di più?
Programma ed altre informazioni: www.netmage.it/2009


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Quella del 2009 è stata un`edizione piuttosto strana e contraddittoria della rassegna bolognese, con alcuni momenti veramente strepitosi, altri contenenti più d`un motivo d`interesse (la maggioranza) e altri decisamente brutti (ma solo per un numero esiguo di eventi si può ricorrere a un simile epiteto).
Ma non il problema reale non sta qui (dacchè si tratta di una caratteristica insita a tutte le rassegne e a tutti i festival e dacchè si tratta evidentemente di un giudizio ben poco oggettivo!) bensì in un programma che si è distinto per una certa incoerenza e per l`assenza di una connessione reale fra le varie performance. Sembra che il motivo immagini, perno essenziale intorno al quale ruotavano le prime rassegne, sia andato con il tempo ad esautorarsi, e in questa edizione è stato spesso assente oppure ha occupato, quando c`era, la scomoda posizione della proforma.
Fra i momenti migliori dell`intera rassegna sono da segnalare gli appuntamenti fissi che si sono ripetuti per tutte e tre le serate: “Mesmerizing Show (Performing Arts)” e “Megascope”.
Nel primo era messa in scena una coreografia dei londinesi Bock & Vincenti, per la precisione “The Infinite Pleasures of the Great Unknown”, ispirata al Dr. Mabuse di Fritz Lang. La performance era qualcosa di più di un balletto e qualcosa di meno di uno spettacolo teatrale e l`azione principale si svolgeva dietro uno schermo trasparente, con il gioco luminoso che faceva apparire le figura danzanti quali anime in pena, incorporee e prigioniere dello schermo stesso che, con i suoi bordi simili alle mura di una prigione, respingeva continuamente ogni tentativo di tracimare, in quello che definirei come uno scenario da inferno dantesco. Pur non essendo avvezzo a questo tipo di spettacolo e pur essendo la ripetitività dell`azione e la lunga durata della performance in grado di fiaccare qualsiasi tipo di resistenza, devo dire di non essermi affatto annoiato, anche perchè accanto all`azione centrale che si svolgeva dietro lo schermo (quindi davanti alla dislocazione pubblico) c`erano tutta una serie di azioni parallele che avevano luogo ai lati, dietro e nel mezzo degli stessi spettatori. La lunga durata dello spettacolo, alla fin fine, si è quindi rivelata appena sufficiente a cogliere tutti questi aspetti che lo contraddistinguevano.
Tutta bolognese era invece “Eclissi”, rappresentata per ben due volte a serata. Gli autori non dovrebbero essere nomi ignoti ai nostri lettori in quanto legati a quella Incudine Records di cui abbiamo scritto a più riprese nel nostro spazio recensioni: Virgilio Villoresi, Dominique Vaccaro e Angstarbeiter (Luciano Maggiore ed Ezio Puglia). Dall`interno di una grande camera oscura venivano mossi oggetti che un gioco di luci e proiezioni rendeva visibile attraverso una parete della stessa camera oscura, secondo tecniche, principi e meccaniche che stanno agli inizi della fotografia e dello stesso cinematografo. Si trattava di un viaggio nella memoria della lavorazione dell`immagine dal carattere suggestivo e dal sapore quasi liturgico. La musica stava lì come elemento secondario ma non era esattamente carta da parati, anche se personalmente avrei cercato di attenuare i volumi giocando di più sulle dinamiche e legando in qualche modo le sonorità ai movimenti degli oggetti ed agli oggetti stessi.
Per quanto riguarda i concerti (divisi nelle due sezioni “Live Media Floor” e “Mangrovia” che, tendenzialmente, si svolgevano in sale diverse) mi sembra di aver captato momenti molto interessanti che però non riuscivano a reggere per tutta la durata dell`evento, e quindi nella loro economia globale era possibile individuare strascichi più formali e anche molte banalità evitabili... comunque di veramente pessimo c`è stato ben poco, giusto i Growing che hanno sciorinato una dance banale, gretta, poco fantasiosa e fatta di suoni veramente orrendi. La loro esibizione è stata fortunatamente bilanciata da quella dei Black Dice che, muovendosi nello stesso ambito, hanno invece mostrato di avere idee piuttosto interessanti e di saper costruire una musica intelligente e sufficientemente articolata.
Mi ha sconcertato anche la tendenza, tipica dei grandi raduni festivalieri e pure abbastanza contenuta, a sovrapporre gli eventi. Ciò ha portato lo spettatore (almeno il sottoscritto) ad effettuare delle scelte non sempre felici, come nel caso della seconda serata quando, dovendo decidere fra la psichedelia dei Suburned Hand Of The Man e l`elettronica dei giapponesi Evala e Keiichiro Shibuya (quest`ultimo animatore del collettivo multimediale e del marchio discografico Atak), ho optato per i primi in virtù di un inizio sciamanico veramente coinvolgente. Poi, nella seconda parte del concerto, il gruppo americano ha virato verso una specie di southern rock monotono e scontato vanificando quanto di buono aveva fatto vedere fino a quel momento (mettendo così in mostra vizi e virtù tipici del troppo osannato filone `New Weird America`: dagli Animal Collective ai Jackie-o Motherfucker). Di contro, per quel poco che sono riuscito ad ascoltare, i due giapponesi hanno presentato una miscela elettronica a base di ritmi e battimenti veramente originale e segnata da una sufficiente dose di fantasia e inventiva. La conferma a queste mie sensazioni è giunta poi dalla visione del DVD “Live DVD Atak Night 3” che ho acquistato ai ben forniti banchetti installati ai margini della rassegna.
Ma vengo adesso ai due concerti che più hanno appagato i miei sette sensi: Keiji Haino e Pierre Bastien.
Il giapponese è stato artefice di una performance che ha superato di gran lunga quella pur ottima a cui assistei qualche anno fa in Reggio Emilia. In due ore veramente infervorate ha seguito un percorso circolare che lo ha visto passare dalla voce, alla chitarra, ai sintetizzatori, ancora alla chitarra e, infine, nuovamente alla voce. E` stato incredibile vederlo mentre si allungava sui microfoni come un gatto oppure mentre tempestava il pubblico con sequenze di intensi cluster chitarristici, alla stessa maniera dell`Hendrix di Monterey o di Woodstock, con tanto di accenno all`inno statunitense (un omaggio all`America di Obama, a Hendrix o a nessuno dei due?). Ma la parte più stupefacente è stata sicuramente quella ai synth, dove vengono smentiti tutti i luoghi comuni circa una mancanza di fisicità e spettacolarità performativa relativamente alla musica elettronica, con Keiji che come uno stregone sembra estrarre suoni dal nulla. Sicuramente si è trattato di una performance dal grande impatto, sia visivo sia sonoro, e di un evento difficile da dimenticare.
Viceversa Bastien si è distinto per la delicatezza e l`eleganza del suo progetto, basato su una specie di meccano da lui stesso assemblato con vari materiali riciclati, con piccole telecamere che riprendevano alcuni particolari del meccanismo per ritrasmetterle poi attraverso il grande schermo. Bastien si muove circospetto e quasi con goffaggine (mi ha fatto pensare alla Amanda Plummer de “La leggenda del re pescatore”), e il bello dell`intera faccenda è che alla parte visiva e alla flebile delicatezza dell`oggetto corrisponde un risultato sonoro altrettanto squisito ed elegante. Veramente un grande artigiano che non conoscevo molto bene e il cui mondo dovrò adesso cercare di approfondire.
In definitiva il giudizio su questa nona edizione della rassegna non può essere che positivo, anche se con quelle riserve già espresse all`inizio. Con il venire meno delle premesse che stavano alla base della prima edizione gli organizzatori dovranno cercare nuovi centri gravitazionali attorno ai quali far ruotare la manifestazione, pena il decadimento di Netmage al livello dei tanti festival senza nè capo nè coda che spesso si vedono in giro, magari ottenendo anche un grande successo di pubblico ma perdendo completamente il suo spessore artistico.



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