Leggendo di un power trio la maggioranza di voi penseranno subito, non negatelo, a Cream, Jimi Hendrix Experience, Blue Cheer, Taste e ZZ Top, aggiornando poi con calma l’elenco a Police, Jon Spencer Blues Explosion, Primus, Venom, Nirvana, Minutemen, Meat Puppets, Hüsker Dü e Motörhead. Nessuno, probabilmente, si spingerà oltre, su lande talmente semi-inesplorate da prendere in considerazione roba come i Klaxon Gueule o i Fushitsusha. Figuriamoci poi i Mosquitoes, che spingono le loro musiche ancora oltre, verso frontiere interplanetarie. Reynols, Butthole Surfers, AMM sono entità amene che talvolta, ponendo attenzione a qualche particolare, i tre londinei possono ricordare, ma sono attimi immediatamente cancellati da una tendenza a divolarsi immediatamente via. Un critico inglese li ha definiti un punto di riferimento nella storia della musica, come il “Metal Box” dei PIL, “Diskont” degli Oval e “Kontakte” di Stockhausen. Per questo settimo disco del trio – tutta roba in vinile che solitamente va ascoltata a 45 giri – il paragone con la creatura malvagia di John Lydon pare proprio azzeccato, vista la propensione a perdersi in profondità dub. Ma ancor qui i paragoni finiscono con l’essere vaghi e vacui, siamo infatti in presenza di un minimalismo spinto agli eccessi e, soprattutto, manca il lamento di Lydon, sostituito da sillabazioni che fanno pensare a una recita di poesia contemporanea o da borbottii che mi ricordano l’Albanese-Epifanio. Mosquitoes: da conoscere o-b-b-l-i-g-a-t-o-r-i-a-m-e-n-t-e. Se ci leggete un motivo ci deve pur essere!!!
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